domenica 20 novembre 2011

MERCATI E MERCANTI

Si sta parlando talmente tanto di spread, di mercati internazionali, di default mondiale che mi è venuto spontaneo andare a ricercare alcune teorie economiche autorevoli per rinfrescare l’argomento, una specie di disanima diacronica delle varie teorie e loro nascita. Qui riporto un passaggio che a me è sembrato rilevante del pensiero economico. E’ uno scritto desunto e riassunto da Alessandro Roncaglia e Paolo Sylos Labini e mi è parso significativo per capire un po’ meglio i mercati e loro funzionamento. Li voglio condividere con chi ha il piacere i leggere anche queste “pedanterie” elaborate e collocate poi in modo del tutto “semplice”, “elementare” ma forse per questo un po’ più efficace. (B.C.) >> LA NASCITA DELL’ECONOMIA MODERNA - L'EONOMIA PRECLASSICA - > L’economia politica inizia ad essere riconosciuta come disciplina distinta dalle altre scienze sociali assai gradualmente e a partire dalla seconda metà del XVII secolo; solo nella seconda metà del XIX secolo, tuttavia, l’economista viene identificato come una figura professionale autonoma. Naturalmente, cenni più o meno sparsi a problemi oggi ritenuti di competenza egli economisti appaiono già nell’antichità e nel Medioevo. Autori come Diodoro Siculo, Senofonte o Aristotele, ad esempio, discutono alcuni aspetti economici della divisione del lavoro, sostenendo, tra l’altro, che essa permette di raggiungere una migliore qualità del prodotto. Tuttavia per lungo tempo – almeno fino al XVII secolo – i problemi economici sono stati affrontati in modo sostanzialmente diverso da come li si affronta oggi. I filosofi ed i teologi medioevali in particolare, più che tentare di descrivere ed interpretare il modo di funzionamento del sistema economico, si proponevano il compito di fornire indicazioni sul comportamento moralmente più giusto da tenere nel campo dei rapporti economici. Così il problema dell’usura, discuso in tanti scritti, non era quello di spiegare il tasso d’interesse ma quello di giustificare la condanna morale del prestito ed interesse e di individuare le eccezioni a questo rigoroso precetto morale. Analogamente il problema del giusto prezzo riguardava non il tentativo di spiegare perché sul mercato i vari beni venivano scambiati a certi prezzi piuttosto che a prezzi più alti o più bassi, ma il tentativo di fornire ai mercati criteri di condotta. (In questo senso e non come anticipazioni alle successive teorie del valore classica e marginalista, vanno interpretati i riferimenti ai costi di produzione dei beni scambiati, o alla loro scarsità e utilità per l’acquirente, come criteri di riferimento da utilizzare per fissare rapporti di scambio moralmente corretti). Per comprendere il cambiamento intervenuto attorno al XVII secolo nel modo di considerare i problemi economici, occorre ricordare i radicali mutamenti verificatisi nell’organizzazione della vita economica e sociale. Il “mercato” – inteso come scambio di beni contro denaro – indubbiamente esisteva già nell’Atene di Pericle, o nella Roma classica di Cesare. Tuttavia gli scambi coprivano una quota relativamente limitata della produzione complessiva della società (mica era il mercato come è strutturato oggi); inoltre le condizioni in cui si svolgevano i mercati – solo all’aperto - erano caratterizzate dalla massima irregolarità, a causa dell’incidenza dei fattori meteorologici sui raccolti, le difficoltà dei trasporti, la diffusa insicurezza rispetto alla criminalità privata e agli interventi arbitrari delle autorità. Va sottolineata in particolare la portata limitata degli scambi. Non certamente in eccedenza come oggi. Nel Medioevo, infatti, gli scambi sul mercato interessavano principalmente beni alimentari che rientravano nel sopvrappiù (Cfr. Kula 1962). Certo esisteva una rete di scambio di prodotti di “lusso” – spezie, merletti, metalli preziosi – che collegava tra loro aree geografiche molto distanti ma accanto a questa rete era sorta, gradualmente, una rete di rapporti finanziari tra i maggiori centri di scambio, basata soprattutto su “lettere di cambio” che avrà poi grande importanza e sv iluppo nei mercati finanziari successivi. Tuttavia nel Medioevo la vita economica è basata soprattutto sull’autoproduzione e sul consumo diretto che soddisfa direttamente ed in modo rudimentale ed artigianale le necessità di vestiario, mobilio, attrezzature da lavoro. Con l’affermarsi del sistema fabbrica l’autoproduzione perde terreno e gli autoproduttori cominciano a rivolgersi ad altri produttori tramite il mercato per beni specifici. Con l’industrializzazione, dunque, il mercato si impone e si ramifica sulle specialità e si afferma il mercato del mercato ossia la produzione degli strumenti sempre più tecnici e particolareggiati – macchinari ed impianti per imprese specializzate. Inoltre nel Medioevo la vita economica è caratterizzata per assenza di uniformità nei prodotti e nelle unità di misura, mentre a partire dal XVII-XVIII secolo, si afferma un mercato di uniformità di peso, misure e tipicità dei prodotti. Ciò comporterà la conquista dell’unità di misura per i prezzi e le migliori condizioni di domanda ed offerta a determinati prezzi sul mercato. In presenza di una forte variabilità della domanda ed offerta gli autori del Medioevo fanno continui rinvii proprio alla condizione migliore di domanda ed offerta sul mercato (quella che poi diventerà quasi l’unità di misura in seguito come abbiamo visto), ma questi continui rinvii non possono essere considerati un’anticipazione della teoria del prezzo, né tantomeno un’anticipazione della teoria marginalista. Quest’ultima, infatti, come vedremo meglio, individua il prezzo di equilibrio in quel prezzo che assicura l’eguaglianza tra domanda ed offerta del bene; domanda ed offerta, inoltre, sono considerate funzioni (continue e differenziabili) – la prima decrescente e la seconda crescente – del prezzo del bene stesso, ed eventualmente di altre variabili come i prezzi degli altri beni ed il reddito dei consumatori. Nei generici rinvii alle condizioni di domanda ed offerta negli scritti del Medioevo, come i accennava sopra, invece, non è riscontrabile – del tutto comprensibilmente, date le condizioni dell’epoca – alcuna idea di una ben specificata e stabile relazione funzionale tra domanda ed offerta e altre variabili come il prezzo dei beni. I mercati sono quelli diretti delle città portuali e legati a vicende di arrivi o mancati arrivi, condizioni meteorologiche come si diceva innanzi, periodi dell’anno ecc. Viceversa i teorici marginalisti hanno in mente i mercati dei titoli delle borse valori, dove domanda ed offerta variano in risposta a piccole, minute variazioni dei prezzi richiamate dal “funzionario alle grida” o “banditore”. Considerando la variabile tempo a disposizione :-) magari in seguito continuerò queste riflessioni per scritto su queste pagine analizzando proprio le varie teorie dei mercati borsistici passando per l’economia moderna e poi quella attuale ;-)

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