sabato 22 settembre 2012

La Comunicazione umana - interattiva sociale – politica e la ridondanza

- di Bianca Clemente ©

C'è qualcosa in questo mondo terrestre – ma anche nell'universo intero – che non rientra nella comunicazione ? Tutta l'evoluzione umana basa le sue leggi sulla comunicazione .
“Non è possibile non comunicare”, non esiste un comportamento che non sia comunicativo- è uno degli assiomi della comunicazione di Paul Watzlawick.
Persino un ente superiore come Dio, attraverso l’immaginazione umana, si serve della comunicazione orale, scritta e simbolica per significare la propria essenza. E l’atto creativo della vita è un discorso riflessivo: Dio parla a sé stesso, per certificare la propria esistenza: dialogo ergo sum, dialogo ergo creo: “Dio disse : sia fatta la luce, e la luce fu fatta (…) E Dio vide che ciò era giusto (…)” La creazione dell'uomo e della donna fu un processo comunicativo dialogante : “l'uomo chiese una compagna ….” La prima richiesta della storia ad un ente superiore !  Quindi, possiamo affermare che la comunicazione è un atto superiore, avendola trovata anche in un testo sacro, un'azione esternalizzante e creativa – terminologia utilizzata quì nel senso proprio di generativa .
Pensiamo ancora ad esempio al mistero della vita: una gestante ed il suo feto sono in costante comunicazione dall'interno verso l'esterno e dall'esterno verso l'interno. Studi scientifici hanno dimostrato che non vi è nulla di più vero. La stessa evoluzione basa le sue leggi sulla comunicazione cellulare. Qualunque cellula vivente – ma anche non vivente, questo è l'incredibile - scambia informazioni con le altre cellule proprie simili o anche estranee o diverse, e assorbe conoscenza da queste. Le pietre, ad esempio, con i loro colori e forme ci informano della loro funzione, della loro provenienza e formazione. E così facendo “scelgono anche i propri abitanti”. E non è che un esempio elementare.
Ma tralasciamo l'impostazione del puro dato ontologico- ecologico-biologico e soffermiamoci sull'impostazione filosofica del dato antropologico-escatologico-storico-religioso: tutta la costruzione della storia umana è un lungo, interminabile processo comunicativo.
Persino i marziani noi li immaginiamo in comunicazione simbolica con noi terrestri.

§ 1. 1. Insomma è un continuo dialogo. La conoscenza è l'obiettivo. La conservazione e lo sviluppo, il fine.
Avendo subito la fascinazione di Platone, potrei citare lo stesso Platone che nel Fedone utilizza le metafore delle navigazioni come metodo, e della caverna come assunto. E poiché nessuno più di me si trova a navigare a remi credo sia opportuno di utilizzare in questo conteso una bellissima frase della seconda navigazione. (Curioso notare come Platone già parlasse di “navigazione” delle idee anticipando di 2000 anni l'avvento di Internet!)
La frase è questa: “[.. ] Ebbi paura che anche l'anima mia si accecasse completamente, guardando le cose con gli occhi e cercando di coglierle con ciascuno degli altri sensi. Percio', ritenni di dovermi rifugiare nel postulare certi discorsi e di considerare in questi la verita' delle cose esistenti. Forse il paragone che ora ti ho fatto in un certo senso non calza, giacche' io non ammetto di certo che chi considera le cose alla luce di questi postulati le consideri in immagini piu' di chi le considera nella realta'. Comunque, io mi sono avviato in questa direzione e, di volta in volta, prendendo per base quel postulato che mi sembra più solido, giudico vero cio' che concorda con esso, sia rispetto alle cause sia rispetto alle altre cose, e cio' che non concorda lo giudico non vero. (…)
La "Seconda navigazione" e' una metafora desunta dal linguaggio marinaresco, e il suo significato piu' ovvio sembra essere quello fornitoci dal neoplatonico Eustazio di Cappadocia (IV sec. d.C.), il quale spiega (In Odyss., p. 1453, 20): "Si chiama seconda navigazione quella che uno intraprende quando, ri-masto senza venti, naviga con i remi". E questa spiegazione trova una conferma anche in Cicerone, il quale contrappone al metodo del pandere vela orationis, del "dispiegare le vele del discorso", quello consistente nel procedere dialecticorum remis, con "i remi dei dialettici" (Tusc., IV, 5).
Insomma poiché, e per fortuna, io non posso possedere conoscenza diretta dei fenomeni tutti - ed in questo Platone mi giustifica e anzi addirittura mi riabilita - osserverò le immagini del reale attraverso “lo specchio dell'acqua” - il che è anche meglio sempre secondo Platone - e proverò a descrivere il mondo delle “mie idee” attraverso il logoi – la forma più alta di ragionamento! - anche se purtroppo userò la parola scritta, la forma che il - ormai - “nostro” filosofo considera più incompleta di espressione.
In poche parole non potrò far nulla di più che prendere spunto dagli studi compiuti sul tema della comunicazione e sui suoi postulati e attraverso il dialogo, l'argomentazione ed il ragionamento, avendo come base la semplice osservazione fenomenica diretta o indiretta dei vari processi, proverò a concordare con i postulati già assunti o addirittura a trovarne di nuovi. Procedendo sempre con il metodo della navigazione.
Dunque la seconda navigazione si realizza in due momenti: nel primo momento si raggiunge il piano delle Idee, mentre nel momento successivo si raggiunge il piano dei Principi, il piano supremo.
In generale, la prima tappa della seconda navigazione consiste nel prendere per base il postulato più solido, che consiste nell'ammettere le realtà intelligibili come "vere cause", e, di conseguenza, nel ritenere vere quelle cose che concordano con questo postulato, e non vere quelle che non concordano.
Infatti, al fine di giustificare un postulato, si dovrà ricercare un postulato ancora più elevato, e si dovrà procedere in questo modo fino a che non si sia ottenuto il postulato adeguato, ossia quel postulato che non ha più bisogno di nessun altro postulato. Pertanto, solo i Principi supremi possono costituire ciò che, una volta guadagnato, non richiede si ricerchi nient'altro di più elevato.
Quindi seconderò un lavoro antico, già intrapreso da altri – meglio di me e prima di me - in merito ad una materia che parla di cose immateriali ma che producono effetti sensibili, alla ricerca del significato più profondo di quel agire umano che si chiama comunicazione. Si parva licet componere magnis ! (Virgilio – Georgiche, IV. 176)!

§1.2 SI VA PER MARE

Siamo dunque alla ricerca di un paradigma assoluto della comunicazione ? Addirittura ! Forse sarebbe meglio dire “può darsi”, ma non credo che andrò a dire nulla di nuovo ….eppure m'è d'obbligo...
Inoltrandoci vediamo da vicino in cosa consiste la comunicazione, per brevi linee, poiché già libri e libri ne sono stati scritti in proposito – come si diceva...
COMUNICAZIONE : Il termine ha due radici: una greca ed una latina, ognuna delle due radici ha pro-prio significato che differisce lievemente dall'altro nella significazione più o meno estensiva.

La radice greca Кοίνόώ (coinòo) - transitivo - rendo comune, unisco, notifico ma anche prostituisco, ossia unisco e vendo platealmente (un atto che si rivolge al popolo e “popolino”), possiede anche una forma riflessiva ed intransitiva κοίνωνέω (coinonèo) nel senso di partecipo – sono implicato – sono d'accordo, entrambi sono legati al concetto di κοίνη “comunità”.
La radice latina di comunicare deriva dal latino cum = con e munire = legare : legare insieme, mettere insieme un sinonimo di condividere, infatti communico = far partecipe.
Ma in latino il significato “sociale” del termine, che ritroviamo nella forma greca, non è espresso con il solo “comunicare” giacchè :
nuntio = do notizia
colloquor = colloquio
alloquor = rivolgo la parola
dico = parlo in pubblico
vulgo = divulgo

Di modo che è più la terminologia divulgo ad esprimere una funzione sociale estensiva informativa di conoscenza per tutte le classi sociali.
Ad ogni buon conto, nel significato originale del termine vi è l'implicazione dell'idea sociale di comunità ma non già i comportamenti sociali che oggi vi attribuiamo, le azioni.
Infatti oggi la comunicazione = cum+azione è un'azione comune ed interattiva. Una sorta di modus agendi e/o modus operandi e/o interpretandi. Una istituzione, quindi ma anche un paradigma attraverso cui si snocciola la costruzione sociale. (Luhmann)
Il solo atto comunicativo originario nel latino communico, potrebbe essere inteso anche come solo riflessivo (comunico a me stesso – un po' come fece Dio all'atto della creazione) e riguardare il solo pensiero.
Il pensiero come fatto comunicativo autonomo ed autodefinentesi (introspettivo, che si definisce da sé, da sé parte, a sé è diretto, in sé finisce). E' vero è già questa la conoscenza. Il pensiero nel momento stesso in cui nasce chiarisce al pensante un fatto ed usa un proprio linguaggio immateriale, immaginativo, “ideale”. Ma “comunicazione” mette l'accento su un qualche tipo di comunanza. Di chè se guardiamo all'evoluzione semantica del termine vediamo che esso assume due significati principali. Il primo è di origine senz'altro più antica e fondamentale, ed è quello legato al "mettere in comune" gli oggetti (non le idee o i pensieri delle persone) o al "partecipare insieme" a un evento. E' un significato che si richiama a strutture sociali comunitarie. Il villaggio. E solo secondariamente, sia storicamente che processualmente come azione del pensiero che si esprime poi in suoni e parole, come metafora del primo, appare il significato di "rendere comuni" idee e pensieri, più vicino al concetto odierno di comunicazione, il cui riferimento non è più la comunità intesa come dato scontato, ma gli individui come interlocutori pensati isolatamente. Riassumendo molto sinteticamente secoli di evoluzione possiamo affermare che in epoca paleocristiana e medioevale, prevale ancora il significato legato al mettere in comune e alla vita di comunità.
Il termine communicare assume anche un preciso significato rituale di comunanza, quello che si è tra-sformato in un dato tempo storico all’ . Durante l'epoca moderna, lo sviluppo dapprima dei mezzi di trasporto di persone e cose, e poi di mezzi di trasmissione delle informazioni, apre nuove possibilità per la "comunanza" tra persone. Di conseguenza, i nuovi mezzi assumono una connotazione social-comunicativa: si parla così di mezzi di comunicazione e vie di comunicazione. Si arriva così dalla comunanza – quasi statica – al trasferimento – molto più dinamico di contenuti di conoscenza. Ciò che è oggi Internet! E su Internet s’innesta tutto il discorso attuale intorno alla comunicazione politica.
§ 1.3 RIDONDANZA
Qui che più preme considerare è quella “nicchia” della comunicazione politica definita ridondanza. Il termine ridondanza si riferisce alla ripetizione negli schemi comportamentali che osserviamo durante l’interazione. La contrapposizione proposta da Watzlawick tra interazione umana ed omeostato è esemplare: entrambi i sistemi sono sistemi in grado di raggiungere un equilibrio, ma se nel secondo caso, l’omeostato, esso è frutto di una ricerca casuale tra tutti gli stati possibili (ricerca che ad ogni cambiamento nel sistema riparte in maniera completamente random), nel sistema interazione, l’equilibrio, una volta raggiunto, viene mantenuto con comportamenti ridondanti, comportamenti che in un certo senso costituiscono la memoria storica dell’interazione, e che non si annullano in occasione di modificazioni che possono occorrere: il sistema umano di interazione non riparte ogni volta da zero, ma mantiene le conquiste acquisite anche quando deve cercare altri equilibri. Il poche parole la ridondanza in comunicazione politica soprattutto è utile a costituire il sostrato mnemonico, forma la storia del detto e vissuto. E’ una sorta di rete che giorno dopo giorno si viene a costruire a supporto per far innestare il pensiero del cittadino che ascolta su ciò che si comunica, una sorta di predetto a cui far riferimento, facendo in modo che questo predetto possa arrivare il più capillarmente possibile ad ogni strato. E’ l’azione che più facilmente e velocemente possibile possa correggere l’interpretazione del pensiero. E’ l’azione dell’intesa. Ecco perché internet sta diventando fondamentale nella comunicazione politica. E l’azione della correzione del detto deve essere condotta con la maggior accortenza possibile perché è il nodo della somministrazione del pensiero. E’ il passaggio cruciale. Si può affermare che così come esso avviene così rimane e difficilmente potrà cambiare in un secondo tempo, servirebbe un ulteriore lavoro di supporto per il cambiamento, proprio come se fossimo dinanzi ad un file del pc da modificare.
Infatti la ridondanza è stata studiata ampiamente in due settori della comunicazione umana: in quello della sintassi e in quello della semantica; e a questo proposito dovremmo ricordare il lavoro pionieristico di Shannon, Carnap e Bar-Hillel. Una delle conclusioni che si possono trarre da questi studi è che ognuno di noi ha moltissime cognizioni sulla legittimità e sulla probabilità statistica inerente sia alla sintassi che alla semantica della comunicazione umana. Da un punto di vista psicologico queste cognizioni sono di un genere molto interessante, perché sono cognizioni di cui non abbiamo quasi nessuna consapevolezza. Forse solo un esperto dell’informazione può stabilire con esattezza la probabilità di ricorrenza e i livelli di frequenza delle lettere e delle parole di una data lingua, tuttavia tutti siamo in grado di individuare e correggere un refuso, di sostituire una parola mancante, e di esasperare un balbuziente finendo una frase per lui. Ma è assai diverso sapere una lingua e sapere qualcosa su una lingua. Una persona può essere in grado di usare la propria lingua madre correttamente e fluentemente senza tuttavia conoscere la grammatica e la sintassi, cioè le regole che egli osserva nel parlare la lingua. Se costui dovesse imparare un’altra lingua — ma non nello stesso modo empirico in cui ha acquisito la lingua madre — dovrebbe anche imparare certe regole sul linguaggio.© (copyright)

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