domenica 14 ottobre 2012

QUOTE ROSA – di Bianca Clemente

Alla vigilia di ogni elezione ritorna prepotentemente l’ormai “antico refrain” delle quote rosa. La “questione femminile” si fa più accesa nell’imminenza delle competizioni elettorali, perché è lì, in quel periodo, che si evidenzia l’enorme vuoto di partecipazione che in vario modo e misura caratterizza il nostro paese. Ma ogni volta lo scenario cambia. Così, solo per fare un esempio, se alla vigilia delle elezioni 2008 - periodo 2006/2008 – era in crescita l’occupazione femminile, sia per tipologia di lavori che in termini statistici, rendendo la richiesta di rappresentanza femminile più pressante e specifica, alla vigilia delle imminenti elezioni 2013 lo scenario cambia formalmente e sostanzialmente: il mondo femminile subisce una battuta d’arresto sia come immissione nel settore produttivo nazionale sia in termini di rappresentanza. Infatti nel 2008 la rappresentanza femminile in tutti i settori della vita subisce un grosso calo e le leggi elettorali non hanno aiutato in tal senso . E questo trend rimarrà costante per tutto l’arco del periodo 2008-2012. Secondo i dati dell'Istat, già pubblicati, nel secondo trimestre del 2012 il tasso d'occupazione tra le under 30 è appena al 16,9%. Tra le giovani tra i 15 e i 29 anni meno di due su dieci ha un posto. Un livello così basso non si registrava dall'inizio delle serie storiche trimestrali, ovvero dal secondo trimestre 2004.
Ma anche con la rappresentanza non andiamo bene. Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu e dell’Unione interparlamentare (Ipu) le donne elette nei parlamenti nazionali nel 2011 sono state il 19,5%, ben lo 0,5% in più rispetto all’anno precedente. In testa alla classifica, neanche a dirlo, i soliti paesi scandinavi quali Svezia, Norvegia e Finlandia con il 42-45% di donne elette, insieme a Cuba (42,5%), Andorra (53,6%), Belgio (39,3%), Rwanda (56,3%), Mozambico (39,2%) e Sudafrica (44,5%). L’Italia invece è solo 57ma con il 21,6% di donne elette alla Camera e il 18,6% al Senato. Simile a noi è la Gran Bretagna, con il 22% di donne parlamentari, mentre più indietro c’è la Francia con il 18,9%. Negli Emirati Arabi Uniti, Myanmar, Mongolia, Nigeria e Iran invece le donne in parlamento non superano in nessun caso la soglia del 5%.
L’unico cambiamento diventato legge, almeno in Italia, riguarda il mondo del lavoro: nel 2011 sono state introdotte le quote rosa nei cda delle aziende quotate in Borsa e delle società a partecipazione pubblica, che dovranno essere composti da 1/5 di donne da agosto 2012 (20% nel primo mandato) e da 1/3 dal 2015 (il 33,3% nel secondo mandato). Una norma introdotta dal governo Monti approvando lo schema di regolamento: Legge n. 120 del 12 luglio 2011. Attualmente sono solo il 7% nelle aziende quotate ad avere cda con una presenza femminile, ma diverse grandi realtà, come la Fiat hanno iniziato ad già ad adeguarsi.
Il Parlamento italiano, però, questa volta sembra essere all’avanguardia - e speriamo non sia troppo presto per dirlo - e seriamente orientato all’emancipazione, soprattutto del mondo femminile: "il risultato raggiunto nella prima Commissione Senato, che ha approvato il disegno di legge sulla doppia preferenza uomo-donna nella legge elettorale per i Comuni, è una buona notizia.
“Anche se noi avremmo preferito licenziare al più presto il testo approvato dalla Camera, per accelerare l'iter e avere subito una legge, si tratta comunque di un risultato che impone una riflessione anche in sede di discussione sulla legge elettorale". Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. "A causa di molte resistenze - ha proseguito Anna Finocchiaro - abbiamo accettato il compromesso di approvare due emendamenti al progetto di legge proveniente dalla Camera. Ora ci auguriamo che nuova legge possa essere utile già per le prossime amministrative. L'innovazione è di tutta rilevanza e imporrà il tema di un'equa rappresentanza di genere anche nelle aule parlamentari". Scriveva appena due settimane fa circa la Senatrice Finocchiaro Capogruppo PD al Senato.
Il testo ha avuto il via libera dall’Aula del Senato a inizio della scorsa settimana con 148 si, 60 no e 30 astenuti. Prevede che senza un numero sufficiente di donne, decade la lista per le elezioni comunali e provinciali per i Comuni sopra i 15mila abitanti. Se le liste non saranno in regola dovranno essere depennati i nomi nella lista che ha il genere più rappresentato e nel caso la lista, alla fine della cancellazione delle candidature eccedenti, contiene ancora un numero di candidate/i inferiore a quello prescritto, depenna proprio lista, questo nel caso dei comuni sopra i 15mila abitanti, come detto su. Per i comuni più piccoli si è scelto di evitare la ricusazione della lista perché può portare alla decadenza del sindaco. Il provvedimento ha avuto il voto favorevole di Pd, Idv e Pdl, anche se alcuni esponenti del Popolo della libertà non hanno partecipato alla votazione e uno si è astenuto. Astenuti anche i leghisti. L’accordo accolto con soddisfazione dalle senatrici di tutti i gruppi, prevede che gli statuti comunali e provinciali debbano "garantire" e non più "promuovere" la parità di genere nelle giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia nonché degli enti, aziende ed istituzioni che sono dipendenti da queste amministrazioni locali. Ma non sono solo queste le novità introdotte dal testo che ora ripasserà all’approvazione della Camera. Altro passo importante è la garanzia di parità di accesso alle trasmissioni politiche in campagna elettorale, secondo i principi dell’art.51 della Costituzione. E ancora ci sarà la possibilità di esprimere due preferenze (anziché una, secondo la normativa vigente) per i candidati a consigliere comunale. Se si sceglie questa opzione, però, una preferenza deve riguardare un candidato uomo e l’altra una candidata donna della stessa lista. In caso di mancato rispetto della disposizione, si prevede l’annullamento della seconda preferenza. Simil cosa per le elezioni regionali. E’ evidente che un cambio eventuale di legge elettorale debba tener conto di queste intenzioni di volontà del Parlamento, rilevantissime.
''La novità' di questo ddl sulle quote rosa sta nell'aver riprodotto per i Comuni la soluzione originale della 'doppia preferenza di genere', introdotta dalla Regione Campania nel 2009, dove ha dato buoni frutti in termini di aumento di presenza femminile nell'Assemblea regionale'' - ha affermato Maria Fortuna Incostante, senatrice pd, relatrice al ddl sulla doppia preferenza di genere alle elezioni amministrative. ''Questa soluzione costituisce una modalità di espressione della preferenza che non prefigura un risultato elettorale, non altera forzatamente la composizione delle assemblee elettive e non è dunque in contrasto con il principio dell'articolo 48 della Costituzione sulla libertà di voto - aggiunge – Promuovere la presenza femminile contro ogni principio di discriminazione per un'uguale partecipazione di donne e uomini ai processi decisionali nella vita politica e sociale è un'ulteriore tappa di progresso giuridico, culturale e istituzionale del nostro Paese. Il legislatore - ha concluso Maria Fortuna Incostante - ha il dovere di andare avanti in questa direzione, in linea con i principi della nostra Carta costituzionale e con i principi fondanti della comunità europea, che nei prossimi cinque anni sarà particolarmente impegnata sugli obiettivi di pari opportunità nel lavoro, nella retribuzione, nella rappresentanza politica e nei processi decisionali in genere''. Anche il Senatore Pd Di Giovan Paolo ha espresso soddisfazione dall’approvazione di questo ddl in Senato. "Tre anni fa, in occasione dell'8 marzo 2009, insieme alla senatrice Mariapia Garavaglia, ho presentato un ddl sulle rappresentanze di genere per le amministrative e sono dunque molto contento che oggi questi temi siano oggetto di una discussione in aula per un apposito disegno di legge". Ha detto Di Giovan Paolo intervenendo nell'assemblea di Palazzo Madama sul ddl. "Una risposta positiva del Parlamento a questo ddl - prosegue Di Giovan Paolo - rappresenta una risposta non alle donne ma alle diseguaglianze che ancora caratterizzano purtroppo la società italiana. È chiaro che, se approvata, questa normativa comporta un riequilibrio nel nostro modo di fare politica poiché è una sfida che coinvolge tutti e non solo le donne. Essa comporterà un cambio nelle modalità della politica, non solo nelle quote. Esiste una tendenza a considerare la politica come una sorta di arena, una competizione continua, una gara dove il machismo ha una parte enorme. Questo ddl fa ripensare interiormente lo svolgimento dell'attività pubblica e se avremo il coraggio di trasformarlo in legge penso che noi parlamentari uomini dovremo considerarlo come un tema che ci riguarda nel profondo. Tutto questo però - conclude il senatore PD - mi auguro rappresenti una misura temporanea e che la parità potrà essere raggiunta senza leggi specifiche, semplicemente 'facendo politica' nel modo migliore".
Ed infatti Pier Luigi Bersani, Segretario nazionale del PD, ha avanzato una proposta innovativa ancora più significativa in tal senso e che potrebbe essere incisiva anche in caso di cambio di regole elettorali: la quota di finanziamento pubblico ancora previsto dalla legge, vada a quei partiti che hanno nelle proprie liste candidati rappresentati nel genere al 50%, altrimenti nessun finanziamento. E questo perché le donne sono la risorsa fondamentale del paese sia in termini economici che politici considerando la preponderanza del sesso femminile non solo in Italia ma su tutta la terra.
Per la Commissione Europea, ironia della sorte, la questione sembra molto più problematica. Secondo le prime indicazioni, il commissario alla Giustizia Viviane Reding sta ultimando un progetto di direttiva che imponga una quota del 40% di donne nei consigli di amministrazione delle imprese quotate entro il 1° gennaio 2020. Attualmente, solo il 13,7% dei membri di questi organismi è donna. Il progetto prevede che le imprese pubbliche debbano applicare la nuova regola entro il 1° gennaio 2018. La signora Reding vuole limitare l'impegno agli amministratori "non esecutivi". A firmare la missiva di protesta sono state la Gran Bretagna, la Bulgaria, la Repubblica Ceca, l'Estonia, l'Ungheria, la la Lettonia, la Lituania, Malta e l'Olanda. Durante il fine settimana, la Süddeutsche Zeitung ha spiegato che nel governo tedesco sia il ministro per la Famiglia, la democristiana Kristina Schröder, che il ministro della Giustizia, la liberale Sabine Leutheusser - Schnarrenberger, sono contrari anche loro all'idea di imporre per legge la presenza di donne negli consigli delle società. (Come scrive Beda Romano - Il Sole 24 Ore)
E nella BCE non andiamo meglio. Un affare da banchieri uomini, evidentemente. Nel consiglio direttivo della Bce non c’è neanche un esponente del “gentil sesso”, sono tutti signori grigi e incravattati. L’ultimo candidato è ancora un “lui”, Yves Mersch, banchiere centrale lussemburghese. Qualche giorno fa l’Europarlamento ha fatto saltare la sua audizione, passaggio necessario per la nomina che spetta ai governi, in segno di protesta per il fatto che non fosse una donna.
Insomma lo spread femminile nella vita civile ha i giorni contati, e speriamo che questa volta si faccia sul serio!

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